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Maiale arrostito “in contumacia”

Oggi, ritenere un animale responsabile di un assassinio è un’assurdità, ma in epoca medievale il confine uomo-animale spesso era labile: il primo processo documentato contro gli animali risale infatti all’anno 864, quando la dieta di Worms condannò uno sciame di api ad essere ucciso col fumo per aver provocato la morte di un uomo.
Nel Medioevo l’uomo viveva a stretto contatto con le bestie e l’istintivo antropocentrismo lo portava a ravvisare nell’animale un comportamento umano, completo di vizi e virtù, ma anche di raziocinio e libero arbitrio.
Lo riscontriamo con facilità leggendo le favolette morali con protagonisti animali parlanti, tanto diffuse all’epoca, oppure le vite dei Santi con racconti di dialogo con animali o nelle raffigurazioni ferocemente satiriche contro la Chiesa nel periodo della Riforma, in cui i potenti e gli avidi, quando non erano demoni, sembravano furbissime volpi o lupi famelici, e con lo stesso principio era raffigurato chi si macchiava di eresia.
Così, in quel contesto intriso di mentalità magica che credeva possibile per un uomo trasformarsi in animale e viceversa, si capisce come fosse assolutamente normale celebrare un processo contro talpe ree di “danneggiare i raccolti con i loro scavi” oppure contro vermi accusati di infestare le vigne o maiali antropofagi.
La confusione tra uomo e animale raggiungeva il picco massimo durante le esecuzioni capitali in cui la bestia trovata colpevole veniva “travestita” da umano. Più spesso gli animali delinquenti, per l’impossibilità di presentarsi in tribunale, venivano condannati “in contumacia” e per l’esecuzione si ricorreva ad un fantoccio raffigurante l’animale in questione.
Certo a pensarci ora, la cosa fa inorridirre o muove al riso, ma non pensiamo di essere del tutto guariti da questa “malattia” che ci induce ad attribuire sentimenti umani agli animali. Non è infatti molto diverso l’istinto che ci spinge ad infilare dei vestitini al nostro cane oppure a credere che i nostri animali domestici siano capaci di “farci i dispetti”, quindi … attenzione!

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