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L’ira della Potnia Theron

la Dama bianca - rilievo di Breuil di pitture rupestri Africa 1947 - Eleborazione ©Fototeca Gilardi

Ogni volta che la Piazza del Duomo di Milano ospita un’installazione o un’opera d’arte, possiamo prevedere con certezza una sollevazione popolare.
Questa volta è accaduto per la scelta di porre davanti alla basilica milanese, la “Maestà sofferente” di Gaetano Pesce che ricorda una gigantesca Venere preistorica, rosa, acefala, trafitta da frecce e circondata da teste di belve pronte ad aggredirla. Questa riproduzione “big size” della celebre poltrona che Pesce realizzò negli anni sessanta con l’intenzione di evocare il grembo materno, dopo cinquant’anni riappare incatenata e morente, per sensibilizzare sulla violenza subita dalle donne, suscitando perplessità e ribellioni.
Al netto delle polemiche politiche, appare piuttosto chiaro che l’insofferenza delle donne verso una monotematica rappresentazione che le vede solo come vittime e come oggetti, inizia a tracimare e a travolgere tutto.
Lungi dal veicolare una denuncia, l’ancestrale simbolo di potenza femminile sconfitto e violato non può che provocare un moto di orrore. Soprattutto perché ciò che preme oggi, è proprio tornare a sentire come saldo e resistente quel richiamo alle radici preistoriche della funzione rigenerativa naturale, recuperare totalmente il principio femminile che risiede in tutti gli esseri umani. L’esigenza arriva da ogni parte ed è esplosa nelle recenti manifestazioni sul clima, che inneggiano alla protezione e alla forza della Madre Terra.
Così anche la semplice mancanza di testa di questa Potnia Theron, l’antica e potentissima Signora degli animali, finisce per risultare un insulto. Il solito insulto che ci ha accompagnate per secoli come “minus habens”, incapaci di pensare e di essere “capo” di noi stesse. Forse è finito semplicemente il tempo in cui la donna accetta di vedersi martirizzata sia nella realtà che nel “racconto”, perché se il racconto non cambia, non cambierà neppure la realtà.
Così tornare a rappresentare la Madre Terra (e la donna che ne è la manifestazione archetipica) come una femmina fiera, con la schiena dritta, che nutre gli animali-istinti, che li domina senza distruggerli, ricca di ornamenti e traboccante fecondità creativa, darebbe alle donne e agli uomini una grandissima forza per fermare la distruzione di questo principio vitale.
Ma se neppure l’arte sa più vedere le scintille della futura rinascita del femminile, se non sa suggerire nulla di dirompente, ma solo ripetere a pappagallo quel che leggiamo ogni giorno sui quotidiani, allora è giusto che l’ispirazione arrivi da chi a tutto ciò si ribella.

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