Il linguaggio simbolico comunica direttamente con il nostro inconscio, proprio per questo non è il caso di sottovalutarne la portata, in termini di “cambiamento delle coscienze”.
Facciamo un esempio: quando vediamo volare nel cielo le frecce tricolori per la Festa della Repubblica del 2 giugno, immediatamente dentro di noi avviene un’associazione spontanea tra il simbolo della bandiera, il concetto di Patria, le uniformi militari, la potenza degli strumenti di guerra che stanno disegnando in cielo il tricolore e un orgoglioso sentimento di nazionalismo. Il complesso dei simboli coinvolti si attiva ogni volta che ci imbattiamo in ognuno degli elementi citati: all’apparire di uno qualunque di essi, associamo spontaneamente tutti gli altri.
Ora, nel nostro subconscio esistono vari “gruppi simbolici”: l’appena trascorsa Festa della Liberazione vede associati, da 76 anni, i racconti dei partigiani, il rifiuto del fascismo, le azioni di guerriglia in montagna, la fine della guerra, cortei gioiosi e colorati, corone commemorative e “Bella ciao” cantata in coro, il tutto condito – va detto – da un sottile rancore per chi, allora responsabile della Patria e fregiato dal tricolore, abbandonò civili e soldati per due lunghi anni alla violenza degli occupanti. In questo contesto il collante inconscio dei vari simboli della Liberazione non è mai stato il patriottismo riverberato dalle uniformi (i partigiani erano abbigliati nei modi più diversi) o dai caccia, né il comune nazionalismo che anzi allora costituiva il collante ideologico del nemico nazi-fascista. Per questo, nel momento in cui, nella giornata del 25 aprile, appaiono in cielo le Frecce Tricolori (col corredo simbolico di Patria-esercito-orgoglio nazionale-guerra) il nostro subconscio va in tilt e deve operare degli aggiustamenti; inizia a chiedersi “antifascismo = tricolore?” oppure “guerra = fine dalla guerra?” o ancora “partigiani = uniformi militari?”, “liberazione = caccia bombardieri?” e così via.
Certo sarebbe giusto che, alla vigilia degli ottant’anni dalla Liberazione, le coscienze di tutti noi arrivassero a riconoscere come “patriottica” più la battaglia partigiana che la retorica dell’esercito repubblicano o la gestualità fascista (per molti è così, purtroppo!), ma invece con questa confusione semantica corriamo il rischio di assimilare la lotta partigiana di Liberazione (di stampo prettamente civile, spontaneo, irregolare) alla Festa della Repubblica del 2 giugno o alla celebrazione delle Forze Armate del 4 novembre.
Il 25 aprile 1945 però la Repubblica italiana non esisteva ancora e le Forze Armate erano allo sbando, dissolte, divise tra repubblichini, imboscati, partigiani e prigionieri di guerra. Forse non vogliamo più riconoscere l’origine “ribelle”, imperfetta del nostro Stato e la sua rinascita dalle ceneri di una guerra civile, ma è questa la verità e il complesso di simboli “Dio-Patria-Famiglia-Bandiera-Guerra” non potrà mai adattarsi a ciò che è stata in realtà la Liberazione, se non occultandone profondamente il senso e distruggendo la sua natura anti-sistema. Se vogliamo usare il tricolore nel cielo per festeggiare il 25 aprile, dovremmo iniziare una profonda revisione del concetto di patriottismo e non una profonda revisione del concetto di Liberazione: far volare tutti insieme aquiloni tricolori (economici, non inquinanti e pacifici) sarebbe un modo perfetto per rispettare il vero spirito del 25 aprile.
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