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La sacra sporcizia

Nesso e immagine: un santino e pubblicità combinate in una sola immagine evocano il titolo del post , elaborazione ©Fototeca Gilardi

È noto che la passione per l’igiene e l’uso dell’acqua per la pulizia personale siano recenti conquiste della civiltà occidentale. Resoconti di viaggiatori di epoca medievale e rinascimentale giunti in India, riportano con stupore l’abitudine femminile di lavarsi quotidianamente il corpo, addirittura prima e dopo ogni rapporto sessuale, segno che le nostre antenate inglesi, francesi, italiane, tedesche non avevano nessuna confidenza con l’acqua, neppure quando era necessario.
La credenza era che un bagno, aprendo i pori della pelle, fosse pericolosissimo veicolo per l’ingresso di “cattivi umori” (germi) nel corpo. Nel XIX secolo era ancora raccomandato alle donne di non entrare nella vasca in cui fosse stato immerso un uomo per non rischiare che qualcuno dei suoi “umori” (di ovvia natura) rimasto nell’acqua, le ingravidasse.
Le prescrizioni igieniche che per secoli tennero lontani dall’acqua i nostri avi, erano di origine chiaramente religiosa. Scisso filosoficamente lo spirito dal corpo e assegnato il primo all’area divina, ne conseguì naturalmente che il secondo (e tutto ciò che lo riguardava) fosse campo demoniaco. Ma anche ciò che poteva risvegliarlo, ricadde sotto il controllo del Male assoluto e il più potente stimolo capace di risvegliare chiunque, non poteva che essere il sesso. Pur di dimenticare di avere un corpo e di provare attrazione fisica, tutta la pelle veicolo primo del piacere, rimase intoccabile persino dalle proprie mani e persino per una rapida pulizia.
L’abitudine, senza significative mutazioni dall’alto Medioevo fino all’epoca della Rivoluzione Francese, fu quella della cosiddetta “pulizia asciutta”, cioè senza acqua, con panni di stoffa, pettini e crusca per i capelli, e cambio frequente di biancheria per chi se la poteva permettere.
L’ossessione della Chiesa cristiana per la “fornicazione”, la fissa per il celibato, la sua idea del matrimonio come rimedio ai deprecabili istinti sessuali, oltre a produrre un certo numero di squilibrati divenuti, nel migliore dei casi, santi, concorse alla demonizzazione della pulizia personale e alla sacralità della sporcizia.
Santa Paola affermava che “la purezza del corpo e le sue vesti significano l’impurità dell’anima”. Ma questo è niente. Si arrivò a considerare i pidocchiperle di Dio” ed esserne ricoperti era segno certo di santità.
Non stupisce a questo punto il gran numero di santi, sante, asceti ed eremiti che ricevettero la “chiamata” proprio alle soglie del matrimonio, cioè del primo contatto fisico (ergo demoniaco e quindi orrorifico) con estranei, tra l’altro particolarmente lerci: da Santa Liberata, a santa Eufrasia, a San Gallo.
Tuttavia oltrepassato un certo grado di sporcizia la santità era assicurata: si racconta che Sant’Abramo eremita (uno di quelli scappati il giorno prima del matrimonio) fosse un uomo di incomparabile bellezza, il quale si rifiutò di lavarsi viso e piedi dal giorno della sua conversione fino alla morte, una cinquantina d’anni. Lungi dall’essere emarginato e schernito, si diceva che il suo viso (coperto di sudiciume) riflettesse la purezza del suo animo.
Un anacoreta in meditazione nel deserto un giorno credette di avere una visione demoniaca: una donna completamente nuda, dai fluttuanti capelli bianchi e nera di sporcizia, si dirigeva verso di lui. In realtà la visione non solo era reale, ma pure santa, si trattava di Maria Egiziaca, donna di grande bellezza che da quarantasette anni espiava così i suoi peccati (probabilmente quello di essere nata bella e quindi desiderata).
Poche furono le eccezioni, come quella di San Gregorio Magno che nel VI secolo, pur restando severamente contrario a qualsiasi abluzione dettata da “lussuria e voluttà” (impossibile pensare di farsi un bidet senza scatenare fantasie erotiche, fino a Settecento inoltrato!) espresse un po’ di tolleranza verso le norme sanitarie permettendo di farsi un bagno, ma solo in caso di estremo bisogno, per non maltrattare il veicolo terreno concesso da Dio all’uomo.

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