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La globalizzazione del disagio

Peste di Milano nel 1630. pubblica esecuzione degli untori, stampa XVII secolo, elaborazione © Fototeca Gilardi

Basta poco per mettere in crisi questo mondo 2.0.
Basta poco per tornare a comportarci come bestie terrorizzate.
È sufficiente vagheggiare l’ipotesi di un virus inarrestabile e incurabile.
In quest’epoca di psicosi sulla sicurezza igienica e sociale, in questo mondo che vede moltiplicarsi gli organi di certificazione e controllo, basta un’influenza “non certificata” a mettere in ginocchio la più grande potenza economica mondiale e a innescare una crisi in tutto il mondo.
Nonostante le smentite degli operatori della sanità volte a spiegare che ci troviamo semplicemente di fronte ad una forma virulenta di influenza, l’ormai famigerato Coronavirus è percepito da alcuni di noi come un’epidemia di peste dagli esiti inevitabilmente mortali.
A nulla valgono le informazioni, a nulla le indicazioni igieniche e i numeri del contagio: è già partita la corsa al saccheggio dei supermercati per assicurarsi mesi di scorte alimentari, non si arrestano gli insulti scomposti sul web nei confronti di fantomatici untori (cinesi o meno) e si percepiscono già le prime avvisaglie di un egoismo feroce e più pericoloso di qualunque virus.
Probabilmente a chi è in panico sembra di avere un comportamento normale, saggio e opportuno, ma basta rileggere l’apertura del Decameron per accorgerci che soltanto i disperati colpiti dalla peste nera agivano come noi (come alcuni di noi) e questo è lo specchio in cui faremmo meglio a guardarci, prima di perdere la ragione senza motivo:
E lasciamo stare che l’un cittadino l’altro schifasse e quasi niun vicino avesse dell’altro cura ed i parenti insieme rade volte o non mai si visitassero e di lontano, era con sí fatto spavento questa tribulazione entrata ne’ petti degli uomini e delle donne, che l’un fratello l’altro abbandonava ed il zio il nepote e la sorella il fratello e spesse volte la donna il suo marito, e che maggior cosa è e quasi non credibile, li padri e le madri i figliuoli, quasi loro non fossero, di visitare e di servire schifavano. Per la qual cosa a coloro, de’ quali era la moltitudine inestimabile, e maschi e femine, che infermavano, niuno altro sussidio rimase che o la caritá degli amici, e di questi fûr pochi, o l’avarizia de’ serventi […] Ed oltre a questo ne seguí la morte di molti che per avventura, se stati fossero aiutati, campati sarieno”.

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