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La Dea della dodicesima notte

Certo è brutta. E anche vecchia e cenciosa. Vola su una scopa come una strega e, come se non bastasse, fa ancora distinzioni tra buoni e cattivi, portando dolcetti ai primi e carbone ai secondi, mica come Babbo Natale dal sacco senza fondo! La Befana è così, un po’ gentile e un po’ dispettosa. Non c’è più nessuno come lei, nessun essere magico porta con sè tanto mistero e tante apparenti contraddizioni.
Scende dal camino ed è coperta di fuliggine, ma ama le case pulite e le massaie ordinate e capaci di filare e tessere perfettamente, infatti a volte veniva chiamata “la vecchia col fuso” e si diceva che, trovando sporcizia o matasse non filate perfettamente in una casa, la notte del 6 gennaio, invece di portare doni, avrebbe portato spavento e baccano.
Se dovessimo stare alla leggenda cristiana, si racconta che i Re Magi in viaggio per Betlemme avessero chiesto informazioni sulla strada ad una vecchia, e che avessero insistito perché lei andasse con loro a portare i doni al salvatore. La vecchia rifiutò, ma poco dopo, pentita, preparò un cestino di dolci e si mise in cerca dei Magi e del bambino Gesù. Non trovandoli bussò ad ogni porta e consegnò dolci ai bambini sperando di potersi così far perdonare la mancanza.
Si capisce subito che questa figura è stata costruita ad hoc, per “disinnescare” qualcosa di molto più significativo. Scavando un poco scopriamo infatti che nel periodo romano politeista, la dodicesima notte dopo il solstizio invernale, si celebrava la morte e la rinascita della Natura, attraverso la figura pagana di una Dea Madre. I Romani credevano che in queste dodici notti, figure femminili volassero sui campi appena seminati per propiziare i raccolti futuri. A guidarle secondo alcuni era Diana, dea lunare legata alla vegetazione, secondo altri una divinità minore chiamata Satia (=sazietà) o Abundia (= abbondanza), per i popoli nordici Holda o Berchta.
Come tutte le divinità, dal Paleolitico all’Età del Bronzo, questa figura conserva caratteri sia maschili che femminili, sia positivi che negativi, è sia creatrice che distruttrice, accogliente e divoratrice, non applica categorie dicotomiche (si/no, bianco/nero, buono/cattivo). La dualità non era conosciuta ai tempi in cui si celebrava il culto della Grande Dea Madre e questo tipo di deità al femminile era inevitabilmente connesso tanto al principio di vita quanto a quello di morte, che allora non era vissuto come un tabù, ma come un elemento inestricabile dell’esistenza. Così, pur trasformandosi in strega nel corso dei secoli, la Befana, con il suo essere sia buona che cattiva, è una formidabile eco delle antiche divinità pre-cristiane, non per niente festeggiata in tutta Italia (ma anche in gran parte d’Europa) fino a pochi decenni fa, come la vera portatrice di doni che si credeva passasse sulla terra, volando come l’antica Diana, dall’1 al 6 gennaio. Nell’ultima notte si diceva che il mondo si riempisse di prodigi: gli alberi si coprivano di frutti, gli animali parlavano, le acque dei fiumi e delle fonti si tramutavano in oro. I bambini attendevano regali; le fanciulle traevano al focolare gli oroscopi sulle future nozze, ponendo foglie di ulivo sulla cenere calda; ragazzi e adulti, in comitiva, andavano per i villaggi cantando; in alcuni luoghi si preparava con cenci e stoppa un fantoccio e lo si esponeva alle finestre oppure si portava in giro sopra un carretto, con urli e fischi, fino alla piazzetta del paese dove si accendevano i falò destinati a bruciare la Befana e, con lei, l’anno passato e i suoi mali per aprire l’anno nuovo con tutti i suoi doni futuri.

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1 commento su “La Dea della dodicesima notte”

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