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Il tempo del lavoro, il tempo del riposo, il tempo del piacere

stampe che raffigurano i mesi nel XVI secolo, elaborazione ©Fototeca Gilardi

Il tempo del lavoro e quello del non-lavoro continuano a rubarsi spazio nel corso della storia.
E oggi che il lavoro scarseggia, paradossalmente è proprio il tempo del lavoro che occupa tutto, senza lasciarci altro che qualche ora notturna per attività che alla fine si riducono spesso ad un semplice oziare davanti ad uno schermo o, nella migliore delle ipotesi, a bere in un locale o fare sport in un ambiente chiuso, sempre che possediamo un reddito che ce lo permetta.
Per avere una cognizione di quanto il tempo della nostra vita si possa utilizzare in modo diverso da quello a cui siamo abituati, basta confrontare la giornata dell’uomo moderno e quella dell’uomo medievale. Ad esempio non immagineremmo mai che, tra noi e un contadino del 1300, chi fa più ore di lavoro annualmente siamo noi. Certo il lavoro per l’uomo medievale era infinitamente più faticoso e non si può affatto dire che stesse meglio, ma egli non conosceva i ritmi folli che viviamo oggi. Innanzitutto non lavorava mai dopo il calar del sole: i contadini non potevano certo stare nei campi e accudire al bestiame al buio e gli artigiani senza luce artificiale avevano lo stesso identico problema. Certo esistevano lumi e candele, ma era molto più economico mandar tutti a letto al tramonto, per alzarsi all’alba.
Il sole dettava i tempi, infatti in estate l’orario si allungava un po’, ma sempre nei limiti a causa del caldo torrido che vincolava il lavoro alle prime ore della mattina e, dopo una lunga pausa, al secondo pomeriggio. Tuttavia l’enorme differenza tra noi e i nostri avi medievali, consisteva soprattutto nel numero dei giorni che il calendario (allora liturgico e tassativo!) dedicava alla santificazione delle feste. C’erano infatti non meno di 130 giorni all’anno dedicati agli impegni religiosi che escludevano rigorosamente il lavoro: ovviamente tutte le domeniche, poi (come oggi) Natale, Epifania, Pasqua e Lunedì dell’Angelo, ma il lavoro era vietato anche durante la Settimana Santa, il giorno delle Rogazioni, quello della Strage degli Innocenti, l’Annunciazione, e poi al Corpus Domini, all’ Esaltazione della Croce e così via, compresi tutti i giorni di vigilia (cioè il giorno precedente a queste feste) in cui il lavoro si interrompeva quando le campane suonavano i Vespri nel pomeriggio (verso le 15). Ma non è finita qui: ogni paese e villaggio si fermava, come oggi, in occasione della festa del suo patrono e, in più, ogni categoria professionale riposava nel giorno del suo specifico santo protettore.
Oggi lavoriamo sabato e domenica, tutti i giorni sono uguali, e siamo tenuti (per un tacito accordo comune a tutti) ad una reperibilità costante. La nostra mente non stacca mai. Necessitiamo di un’occupazione per sopravvivere, che però rende in media piuttosto poco, le ore di fatica aumentano, il tempo per vivere si riduce.
È tutto “lavoro” e il lavoro è “tutto”.
Forse per rimediare al problema sarebbe utile che le attività iniziassero molto presto la mattina, per finire prima e ricavarci del tempo libero “diurno”, che di per sè allarga la gamma delle attività possibili ed è indubbiamente più compatibile con i ritmi di vita naturali. Oppure, se vogliamo leggerla in senso religioso medievale, la soluzione potrebbe essere quella di tornare a “santificare le feste”: sospetto che lo scopo di Dio nel dettare questa regola a Mosè fosse, non tanto quella di mandarci a messa, (pena l’Inferno come credevano i nonni), ma quella di concederci istanti preziosi di vita per guardarci intorno e vedere la bellezza del creato. Cioè per goderci la vita.

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