Negli antichi rituali pagani del Solstizio d’Inverno, i sempreverdi come l’Abete e le piante come l’Agrifoglio e il Vischio, in grado di fruttificare nella stagione fredda erano ritenute capaci di allontanare gli spiriti maligni e per millenni assunsero un profondo carattere sacro come simboli di immortalità e di rinascita, giungendo fino a noi attraverso i più recenti riti cristiani. Durante i Saturnalia gli antichi romani usavano ramoscelli di agrifoglio, pianta sacra a Saturno, come scaccia-spiriti mentre nel Nord Europa i contadini appendevano l’agrifoglio sulle porte delle case e delle stalle per allontanare i sortilegi e propiziare la salute e la fecondità degli animali. I primi alberi di Natale, chiamati “alberi del Paradiso” apparvero nell’Alto medioevo ed erano decorati con mele e ostie, poi sostituite da candele, noci, castagne, dolci e biscotti: la Chiesa cattolica si era appropriata della festa pagana del Dies Natalis Solis Invicti (Giorno di nascita del Sole Invitto) e vi aveva sovrapposto la festa della nascita di Cristo. Le piante capaci di sopravvivere ai rigori invernali sembravano perfette da affiancare a questa celebrazione, ma presso le popolazioni nordiche l’abete era già da tempo considerato l’albero cosmico per eccellenza, che univa il mondo terreno con il mondo celeste e nel giorno più corto dell’anno veniva addobbato con i simboli di ciò che si voleva ottenere durante il raccolto successivo.
Il vischio è forse la pianta più “magica”: ritenuto simbolo di rigenerazione e di immortalità e usato fin dall’antichità per celebrare il solstizio d’inverno, nel nord Europa viene chiamato anche “scopa di fulmine” e gli si attribuisce il potere di sconfiggere ogni genere di veleno. Questa pianta parassita, che vive senza affondare le radici nella terra, si credeva nascesse là dove era caduta la folgore, simbolo della discesa della divinità; compariva spesso nei rituali magici per fugare il malocchio e, tra le tante virtù, gli veniva attribuita anche quella di apportare fertilità. Racconta Plinio il Vecchio che presso i Celti, possessori di un vero e proprio alfabeto “arboreo” , i Druidi avevano una particolare devozione per questa pianta, soprattutto quando il vischio nasceva sulle piante di quercia, tanto da ritenere per questo sacre, intere foreste di rovere. Il loro rituale di raccolta del vischio con il falcetto d’oro era particolarmente suggestivo. Nell’Eneide vediamo l’eroe, Enea, mostrare il raro vischio di quercia, il Ramo d’oro, al nocchiero dello Stige per farsi aprire le porte del Regno dei morti. La Chiesa dei primi secoli ne vietò l’uso durante il Natale a causa delle sue origini pagane e lo sostituì con l’agrifoglio, simbolicamente più adatto ai rituali cristiani per le sue bacche rosso sangue e per le spine delle sue foglie.
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