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I doni della selva oscura

bosco e tavole di piante officinali spontanee, stampe antiche; elaborazione ©Fototeca Gilardi

Per il contadino medievale, che spesso viveva in misere condizioni, la ricchezza poteva essere nascosta ovunque. Una fonte inesauribile di risorse ad un costo relativamente basso era costituita per lui dai boschi e dalle foreste, territori in cui non veniva permessa l’agricoltura e che spesso restavano a disposizione di tutti, secondo una tradizione mutuata in Europa dai popoli germanici.
Boschi e foreste non erano tanto preziosi per la selvaggina di grossa taglia, generalmente monopolizzata dai signorotti del luogo, ma soprattutto per la vegetazione spontanea che forniva materia prima preziosissima a chi viveva con poco. La selva custodiva frutti selvatici che venivano contesi tra uomo e animali per alimentarsi: dalle nocciole, alle castagne, dai pinoli, alle mele e pere selvatiche, e poi nespole, prugnole, corbezzoli, mirtilli, lamponi, fragoline, more, faggiole erano ingredienti base dell’alimentazione contadina, in cui anche i funghi erano presenti, ma in maniera minore per il rischio di intossicazione che portavano con sè.
Il bosco donava alle famiglie contadine anche una quantità di erbe spontanee e  officinali utilizzate sia nella cucina sia nella medicina popolare. Dalle noci e dai semi di faggio nel Nord Europa ricavavano l’olio, mentre nel Mediterraneo erano i boschi di ulivi a fornire la materia prima per combustibile e condimenti.
I favi naturali nascosti negli alberi cavi o negli anfratti di roccia erano saccheggiati da chi non aveva il permesso di costruire arnie domestiche e le numerose resine presenti nelle conifere erano destinate a svariati usi, dal collante, al solvente, alla fabbricazione di torce fino all’uso antisettico della trementina.
La sapienza ereditata dagli avi guidava l’uomo medioevale nella scelta del legname più adatto a scaldare la casa, il migliore per cucinare, o il più resistente per costruire una porta o un tavolo, fino a quello perfetto per trasformarsi in un utensile da cucina. In Italia l’Appennino, coperto da numerose varietà di quercia, forniva legna in abbondanza per i camini, ma anche ghiande in quantità (il migliore cibo per i maiali, che venivano fatti pascolare nei boschi) e soprattutto rovere, un legno molto resistente utilizzato per le travature dei tetti e per le botti destinate al vino.
Altri alberi fornivano legna particolarmente dura, come il bosso, perfetto per realizzare pettini e manici per gli attrezzi agricoli; il bagolaro (o spaccasassi) utilizzato nella costruzione di cerchioni, mozzi e stanghe dei carri; il corniolo, preferito dai mugnai per fabbricare gli impianti di macinazione. Legni più flessibili, come quello di betulla, di frassino e di nocciolo erano destinati alla cerchiatura delle botti, mentre per gli archi veniva scelto il sambuco, elastico e resistente.
Indispensabili erano le piante che crescevano lungo i fossi, come i giunchi dai quali si intrecciavano cesti, stuoie, sedie, trappole per la caccia o la pesca, oppure le canne palustri preziosa riserva di materiale per le costruzioni provvisorie, per i sottotetti, le recinzioni, le piccole capanne e i pollai.
Dalle cortecce (è sempre una quercia a fornire anche la più conosciuta corteccia che è quella di sughero) si ricavavano tegole per il tetto, calzature, scatole, tappi, etc. Ma le risorse delle foreste non si limitavano ad assicurare la sopravvivenza delle popolazioni medievali. Il bosco regalava anche i coloranti ricavati da piante selvatiche come la robbia per il rosso, la ginestra per il giallo o il guado per l’azzurro.
Persino le foglie cadute avevano un potenziale: essendo ricche di sali minerali servivano da foraggio per gli animali o  venivano mescolate con gli sfalci e gli scarti per fare compostaggio, ma addirittura erano riciclate per imbottire i materassi. D’altronde il sonno di piombo del contadino stremato dalla fatica non poteva certo turbarsi per un giaciglio frusciante.

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