L’autunno ha qualcosa di magico e i suoi frutti, lungi dall’evocare la successiva carestia invernale, sembrano racchiudere in sé l’ultimo intenso calore della bella stagione, sia nelle forme piene e tonde sia nelle tinte morbide e calde. Il lucido marrone delle castagne, la dolcezza dei fichi, l’allegra varietà delle zucche, il profumo terroso dei funghi, la potenza energetica delle noci, la ricchezza dell’uva, lo splendore delle melagrane, la morbidezza delle nespole e dei cachi, la croccantezza delle mele, il sapore inconfondibile delle nocciole non costituiscono solamente un tripudio di colori e sapori, ma sono da sempre alla base della nostra alimentazione.
Questi frutti, protagonisti della tavola fin dagli albori della civiltà, non potevano che produrre leggende straordinarie. Si racconta ad esempio che le castagne (dette anche “pane d’albero” per la loro importanza nella poverissima dieta delle popolazioni montane) un tempo non avessero il riccio, ma crescessero sugli alberi come le mele. Un giorno, stanche e infreddolite, chiesero aiuto al vecchio castagno e questi le consigliò di farsi donare dagli amici animali, le pellicce dei ricci morti. Da allora le castagne hanno il riccio; un riccio che si spacca a forma di croce grazie ad una speciale e caritatevole benedizione da parte di San Benedetto, preoccupato per la fame subita dai suoi fedeli più poveri.
La melagrana invece, con i suoi infiniti semi lucenti e pieni di succo, rappresenta la fecondità, l’abbondanza e la coesione, non c’è infatti immagine più esatta per evocare gli ovuli femminili. Il succo di colore rosso evoca il sangue e costituisce il simbolo della vitalità dell’energia. Durante le feste in onore della Dea Demetra le ateniesi consumavano i frutti del melograno, auspicio di prosperità e fertilità, ma anche in Cina la melagrana era un frutto consacrato alla Dea Madre, in Africa ed in India le donne sterili ne bevevano il liquido e in Turchia le giovani spose lanciano a terra il frutto e, in base a quanti chicchi usciranno dalla melagrana, sapranno quanti figli avranno. Nell’antico Egitto il suo succo dolciastro, cotto a lungo e filtrato, era chiamato shedeh e costituiva una bevanda dai poteri inebrianti e dagli effetti afrodisiaci, molto amata dai faraoni.
Inutile quasi ricordare le fiabe e le leggende legate alla zucca, capace di trasformarsi in carrozza per Cenerentola e in spaventosa lampada nella notte di Halloween, ma forse pochi sanno che nel Rinascimento era simbolo della brevità della vita, poiché la zucca in un brevissimo spazio di tempo diventa altissima e con la stessa rapidità perde vigore e cade a terra.
Infinite e conosciute sono le storie sull’uva e su Bacco/Dioniso, per non parlare della simbologia della mela che evoca immediatamente paradisi perduti e contese tra dee olimpiche. I cachi invece sono frutti arrivati in Europa nell’Ottocento, ma in Cina, loro patria d’origine la loro coltivazione è antichissima e il loro albero viene chiamato “l’albero dalle sette virtù” (dolcezza, longevità, legno robusto, vivace fuoco, rifugio per gli uccellini, cibo per gli animali, ombra prodotta dalla sua chioma) e pare che queste virtù contagino anche l’uomo che mangia i suoi frutti.
Per finire possiamo citare il nostro albero magico per eccellenza: il Noce, pianta sotto la quale si credeva che le streghe organizzassero i loro sabba, produttrice di frutti dalle infinite proprietà benefiche per il nostro cervello, quasi a confermare l’antica teoria medievale della signatura (la cura per somiglianza tra organo malato e rimedio): la somiglianza tra il gheriglio e il cervello umano è infatti innegabile, così come il guscio duro ricorda la scatola cranica.
Più anticamente le noci erano invece simbolo di fertilità tanto che in epoca romana, durante le cerimonie nuziali, il giovane sposo usava gettare noci lungo la sua strada come auspicio di numerosa prole, ed è proprio il loro nome botanico “Juglans” ( da Jovis glans “ghianda di Giove”) che, senza velate allusioni, ne rivela appieno l’origine mitologica e la potenza fecondatrice.
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