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Dal lato sbagliato dello specchio

una fata,  manifesto per opera 'Cendrillon', 1899 elaborzione ©Fototeca Gilardi

Chi di voi non ha sognato almeno una volta di possedere un oggetto magico?
Ogni mito, racconto o leggenda si snoda attorno ai prodigi legati a uno o più oggetti che piegano la realtà al nostro volere e che riescono a stravolgere le leggi della natura a nostro vantaggio.
Le fiabe sono piene di strumenti magici come lampade che imprigionano geni, fagioli che in una notte crescono fino al cielo, noci che contengono abiti trapunti di stelle, o scarpe maledette che costringono chi le indossa a danzare fino alla morte. Numerosi sono i racconti in cui un anello magico o una collana cambiano le sorti del regno, così come si sprecano (anche nelle saghe odierne) le spade fatate che conferiscono il potere supremo e le armature impenetrabili, per non parlare delle onnipresenti bacchette magiche. Ogni impresa che l’uomo ha reputato impossibile per secoli, ha prodotto una soluzione magica nelle sue storie e persino gli dei dell’Olimpo vennero immaginati, nella loro umanità, muniti di oggetti prodigiosi e rari, spesso forgiati da Efesto che tutti detestavano, ma della cui abilità non potevano fare a meno. Il dio Ermes non poteva viaggiare (e compiere i suoi furti) senza un elmo alato che gli assicurava l’invisibilità, così come Afrodite non si separava mai da un cinto magico che le conferiva un potere seduttivo irresistibile.
Mentre l’arte e la tecnica umana si applicavano incessantemente alla creazione di mezzi per superare i nostri limiti, la fantasia soddisfaceva i feroci desideri che la nostra specie non riusciva a governare: l’irrinunciabile aspirazione a spostarsi rapidamente da un luogo all’altro riempiva la letteratura e il mito di tappeti volanti e di “portali stregati”, di cavalli con le ali che correvano come il vento e di pericolose formule soprannaturali.
Altrettanto feroce sembra essere stata la nostra aspirazione all’onniscienza, al controllo di tutto ciò che accade alle persone che ci interessano (amate o odiate) ed è proprio a questo scopo che nasce uno degli oggetti incantati preferiti anche dai moderni sceneggiatori di fantasy: lo specchio magico. Lo specchio, spesso sostituito da una sfera di cristallo, da un riflesso su una finestra o da una semplice bacinella di acqua, risolve un sacco di problemi di trama: permette a Grimilde di sapere che Biancaneve è ancora viva, mostra ai veggenti cosa fanno i vari personaggi, permette di comunicare a distanza e di osservare luoghi irraggiungibili.
Via via che il tempo passa però, la tecnica trova soluzioni reali ai nostri desideri, uccidendo la magia che per sua natura si fonda sull’impossibile. È così che osserviamo lo specchio fatato con altri occhi… lo strumento magico assomiglia in modo imbarazzante a un oggetto reale che è lì, sempre nelle nostre mani, pronto a metterci in contatto con tutti, a rimandarci un riflesso positivo, una risposta immediata. Sentiamo risuonare dentro di noi la voce dell’ansia: «Specchio, specchio delle mie brame, chi è la più bella del reame?» trovandoci, nostro malgrado nelle vesti di moderne “Grimildi” in attesa di una risposta gratificante.
Ma che succede alla nostra psiche quando il mito si rovescia e non siamo più gli eroi positivi della nostra storia?

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