Nell’antica Grecia, due erano le parole che definivano il concetto di Tempo: Chronos e Kairos.
Chronos era il tempo inteso come fenomeno misurabile, il tempo “scientifico”, quello che scorre inesorabile e su cui l’uomo non ha nessun potere perchè è esterno a lui.
Con la parola Kairos si indicava invece il tempo interiore, soggettivo, il momento opportuno per fare qualcosa, che solo ognuno di noi conosce e che per ciascuno è diverso.
Il primo, Chronos, il tempo che divora tutte le cose, lo conosciamo molto bene, lo rincorriamo, lo utilizziamo per battere ogni record, gli diamo un valore in denaro, lo pieghiamo alle nostre esigenze, ma in realtà non è quello il tempo che per noi ha importanza. Questo è il tempo della fretta, che separa giovinezza e vecchiaia, che, paradossalmente, sprechiamo in attività in cui non troviamo un senso.
Fondamentale per noi infatti, non è la quantità del tempo che abbiamo a disposizione, ma la qualità: è Kairos, che i Greci raffiguravano come un ragazzo con le ali ai piedi (o sulle spalle) con un ciuffo di capelli sulla fronte e la nuca quasi rasata, figura sovrapposta all’immagine latina della Fortuna e al dio Mercurio.
Kairos è la personificazione del momento opportuno, il tempo per ogni cosa, il tempo “giusto” che permette di capire chi siamo e cosa desideriamo, di chiarire i nostri valori e che, soprattutto, non ci fa spostare lungo un percorso necessariamente lineare, ma ci porta dove abbiamo scelto di andare, attraverso diverse dimensioni del nostro essere.
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