Non è passato che un secolo dall’ultima emigrazione in massa di italiani e già ci risiamo.
Nell’ultimo biennio la popolazione italiana che si è stabilita all’estero è salita del 30% (pare che in realtà questa cifra sia da moltiplicare per tre volte) e, come un tempo, si tratta di individui tra i 20 e i 40 anni (in realtà nel 1880 si partiva per cercare un lavoro già a 16 anni).
Parecchio più alta di una volta è la percentuale di donne sul totale grazie a fondamentali conquiste di genere, ma l’unica vera novità è la destinazione: ora tra le mete preferite c’è anche l’Asia, continente “emergente”, mentre dopo l’Unità d’Italia i nostri contadini e disoccupati scelsero l’Europa prima, e l’America poi.
Quando le masse si muovono in questa maniera massiccia, cosa fanno i governi?
Come reagiscono gli imprenditori?
Beh, la storia dice che dal 1870 alla prima guerra mondiale (periodo durante il quale emigrarono 14 milioni di italiani), ci fu una certa indifferenza verso il fenomeno.
Il primo studio serio sull’emigrazione italiana risale infatti al 1880 e i primi timidi accordi internazionali al 1890.
Alcuni imprenditori ventilarono, all’epoca delle grandi emigrazioni, il rischio di una diminuzione della concorrenza per lo stesso posto di lavoro, ma pare che il numero di aspiranti lavoratori sia rimasto sempre sufficiente a garantire la loro prosperità.
Nessuna “rete” seguiva i nostri avi nella loro disperata ricerca di sopravvivenza. Solo associazioni di volontari, spesso di stampo religioso, o scarni manuali costituivano tenui ammortizzatori per singoli individui o intere famiglie lasciate allo sbaraglio dai vari governi italiani.
Ora la “rete web” aiuta molto meglio chi si vuole spostare per cercare lavoro in altri paesi, fornendo informazioni sia sulle normative, sia sulle abitudini, sia sulle opportunità occupazionali dei vari luoghi. Ma chi fornisce oggi queste notizie?
Non certo lo Stato che, come sempre, non si limita a latitare ma spesso complica la faccenda attraverso indicazioni e obblighi confusi e contraddittori, spesso neppure in linea con le direttive degli altri paesi europei.
I “soccorritori” sono i pionieri della nuova migrazione, chi risiede all’estero da tempo, chi ha fatto già brevi o lunghe esperienze. Insomma come al solito, ci aiutiamo da soli.
Così la mia impressione è che in arrivo o in partenza, che si tratti di immigrati o di emigranti, regni un certo atteggiamento menefreghista e punitivo rispetto alla circolazione dei cittadini, mentre si asfaltano costosissime autostrade virtuali per rendere sempre più agevole e incontrollata la libera circolazione di merci e capitali.
Sia in un caso che nell’altro, bisognerebbe farsi qualche domanda in più sulle cause e sulle conseguenze di tali “movimenti” e agire per trarne il meglio dal punto di vista collettivo.
Invece, mentre ci stracciamo pubblicamente le vesti per i “cervelli in fuga”, di fatto costruiamo ponti d’oro a chi fugge, attuando una sorta di smaltimento incruento dei lavoratori qualificati, troppo onerosi e non più collocabili, in uno Stato come il nostro.
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anch’io ho abitato dal 1958 al 59 nelle baracche della ditta leonhard moll nella hansastrasse n 16 ho 5 foto di mio ricordo, saluti da arco trento sergio