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C’era una volta

la Bella Addormentata, illustrazione di Libico Maraja

Sono anni che le fiabe vengono sottoposte al vaglio della Ragione e della Giustizia ed è una follia, perché quello delle fiabe è un linguaggio simbolico che parla all’inconscio.

Non mi riferisco solo alle ultime pretestuose polemiche sul bacio del risveglio a Biancaneve, scambiato per molestia sessuale, ma del tentativo – iniziato ormai mezzo secolo fa – di indurre i bambini a pietà per il Lupo cattivo. Come se la questione fosse competenza del WWF…

Ebbene, è davvero strano che non sia universalmente chiaro, ma il Lupo Cattivo delle fiabe “non è” un animale e neppure una specie protetta.
Il Lupo delle fiabe è il Male dentro di noi, è l’istinto aggressivo o quello sessuale predatorio.
È il pericolo.

Cercare di preservalo, salvarlo, giustificarlo, avere pietà di lui, convincerci che è buono vuol dire lasciare campo libero ai nostri peggiori istinti, oppure trovarci sguarniti e senza risorse difensive di fronte a un predatore o a un rischio. Vuol dire sdoganare l’istinto predatorio.

Analizzare i motivi psicologici e i dolori esistenziali che hanno indotto la Strega cattiva a uccidere Biancaneve, giustificare il suo atto, significherebbe dare campo libero al nostro istinto omicida, alla nostra invidia, alla parte peggiore della nostra personalità. Significa dare credito a chi prevarica i deboli e i fragili.

Dare del molestatore a un principe che risveglia una principessa addormentata da un maleficio significa inibire per sempre la parte attiva della nostra psiche e renderla incapace di farci uscire dal torpore, dalla depressione, dall’inazione, dalla mancanza di passione.

Nel nostro archivio è conservata, tra le altre,  una corposa e magnifica collezione di illustrazioni per fiabe, quella di Libico Maraja.
Scorrere immagini come quelle, senza attivare sovrastrutture mentali è indispensabile per comprendere in pochi istanti che le aree del cervello che si attivano quando leggiamo – ma soprattutto quando vediamo le illustrazioni – di una fiaba non hanno nulla a che vedere col pensiero razionale.

Certamente chi osserva tutto ciò attraverso la lente del politically correct e legge le fiabe come fossero cronaca nera non può che indignarsi, ma questi racconti parlano di archetipi, di immensi contenitori simbolici come quelli del Mito.

Va forse cambiato il Mito? …certo, è un’aspirazione legittima, perché no?
Ma c’è una brutta notizia: il Mito cambia da solo.
L’inconscio collettivo non crea simboli a comando e non li crea certo spinto da sciocchi tentativi di indurgli sensi di colpa sulle immagini scelte per raffigurare le istanze psichiche.

L’inconscio sa che esiste il Male puro e lo rappresenta in modo semplice.
Sa che la psiche umana ha una parte attiva e una passiva, che si completano e si compensano a vicenda.
L’inconscio la rappresenta spesso come una coppia in cui la parte attiva è rappresentata  da un principe buono che salva una principessa in pericolo, ma anche nella fiaba (che è più saggia di noi) non è sempre così.

A volte le due istanze psichiche sono due sorelle di carattere opposto. Altre volte vediamo un bimbo coraggioso che salva i paurosi fratelli; altre volte una ragazza che affronta pericolosi viaggi per riportare a casa l’amico rapito.
Insomma la fiaba contiene universi psichici sedimentati nel corso dei millenni e comuni a ogni cultura. Cambia col tempo, ma la sua metamorfosi non preesiste alla nostra. Ne è solo l’espressione simbolica e prevede già un equilibrio.
Da sempre.
Perché il linguaggio della fiaba è quello del sogno e nel sogno tutto è possibile.
Tutto è ammesso. Tutto è “degno”

Evitiamo quindi di uccidere la fiaba.
Smettiamo di rifiutare gli incubi, altrimenti non riusciremo più a riconoscere ed elaborare il male.
E finiamola di leggere un racconto fantastico come fosse un articolo di cronaca perché, oltre a ridurre il campo del possibile, rischiamo di perdere la capacità di elaborare quel che si muove sotto la nostra coscienza, finendo per diventare vuoti burattini senz’anima.

© riproduzione riservata

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