Ecco arrivato maggio, il mese dei matrimoni con il loro corredo di tradizioni da rispettare o da infrangere. Quella del bouquet da sposa è, tra le mille indicazioni e prescrizioni per un matrimonio perfetto, una delle più antiche usanze nuziali.
I fiori sono sempre stati il prediletto ornamento femminile (e, in alcuni tempi e luoghi, anche maschile) quindi va da sé che in un’occasione come quella delle nozze, abbiano un ruolo centrale.
Ancora oggi gli addobbi delle chiese e dei luoghi in cui si celebra il matrimonio sono floreali, ma il bouquet della sposa non nasce come ornamento. Ha un suo significato molto speciale.
Le fanciulle romane di epoca augustea il giorno del loro matrimonio ponevano sul velo una corona intrecciata di verbena e maggiorana, e più tardi di mirto e fiori d’arancio. Alcuni dicono che recassero con sé anche un ramo di mirto, rosmarino o altre piante aromatiche capaci di tenere lontani gli spiriti maligni che rischiavano di funestare le nozze. In epoca medievale le erbe aromatiche di questi rudimentali bouquet iniziarono ad essere sostituite con gigli (simbolo di purezza) e asfodeli (simbolo di fine della vita da nubili).
Anche nella tradizione matrimoniale araba le spose recavano in mano dei fiori, in particolare dei mazzetti di fiori d’arancio (simbolo di purezza e fecondità) legati da nastri: il vero progenitore dell’odierno bouquet. Ma perché è proprio la zagara ad avere ancora oggi questo onore? In realtà non lo sappiamo, perché l’origine di questa usanza è leggendaria: una pianta d’arancio venne donata al re di Spagna da una bellissima principessa di cui il sovrano si innamorò perdutamente. Un giorno un ambasciatore colpito dalla bellezza e dal profumo di quei fiori, chiese al re se poteva prelevarne un ramoscello, ma il sovrano gelosissimo della pianta gli rispose seccamente di no. Il diplomatico, risoluto ad ottenerne un ramo, decise allora di corrompere uno dei giardinieri del re con 50 monete d’oro. Il povero giardiniere, che aveva una figlia in procinto di sposarsi, non se lo fece dire due volte: quelle monete andarono a costituire la dote della figlia la quale, il giorno del matrimonio, con gratitudine si adornò con i fiori di quello stesso arancio.
Tradizionalmente quindi il bouquet nasce come “scacciadiavoli” per poi trasformarsi in un simbolo di purezza e di rinuncia al nubilato. È proprio per questo che alla fine della cerimonia la sposa lo getta via: lei dice addio alla vita “casta”! Di solito (sebbene durante il lancio del bouquet, ultimamente si crei un fuggi-fuggi generale) le fanciulle che desiderano convolare a nozze corrono ad afferrarlo, poiché questo prezioso accessorio avrebbe il magico potere di farle sposare entro 12 mesi.
Questa credenza nasce da un’usanza medievale secondo la quale ottenere un pezzo del vestito della sposa si riteneva portasse fortuna. Il problema era che le invitate cercavano di procurarsene una porzione (gli uomini celibi invece dovevano impossessarsi delle giarrettiere e fissarle al loro cappello) con prevedibili malumori delle spose meno accondiscendenti. Con il tempo queste usanze si sono trasformate nel lancio del bouquet alle donne e della giarrettiera agli uomini, per evitare che il vestito della sposa venisse rovinato o rotto.
Ma non è finita.
Se al prossimo matrimonio vorrete rispettare a puntino la consuetudine, ecco l’ultimo passo da farsi.
La tradizione prevede che la fortuna afferrata al volo vada attivamente onorata: l’uomo che ha preso la giarrettiera dovrà donarla alla donna che ha preso il bouquet. La donna, indossata la giarrettiera, dovrà quindi danzare con l’uomo, affinché entrambi favoriscano il destino che li vuole protagonisti di future nozze (con i rispettivi partner, s’intende!)
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