Fare le corna, toccare ferro, incrociare le dita, tastare “i gioielli” restano tra gli ultimi gesti apotropaici (dal greco apotrépein = “allontanare”) sopravvissuti nella nostra cultura per allontanare il male “invisibile” o la paura dello stesso. Gli scongiuri nel corso del tempo hanno visto sovrapporsi religione, magia, superstizione senza troppe distinzioni, nell’ansia di propiziarsi le forze della natura, a prescindere dalla forma istituzionale che prendevano di volta in volta. Fino a pochi decenni fa il repertorio di gesti, parole e oggetti ai quali veniva attribuito il potere di scongiurare malefici e disgrazie, o di favorire il destino, era molto più vasto e condiviso, ma anche oggi in situazioni di particolare tensione abbiamo l’istinto di esorcizzare l’angoscia con gesti scaramantici ai quali attribuiamo un potere magico. Questi atti “funzionano” perché generano nella psiche un’illusione di controllo della situazione: rafforzano la fiducia in se stessi creando la sensazione di poter padroneggiare gli eventi . Per avere efficacia però, il gesto apotropaico deve affondare le radici in un archetipo molto potente e deve essere stato tramandato fra le generazioni come un mezzo efficace e abitudinario.
Una della più remote e diffuse risposte scaramantiche al male, di solito inteso come “malocchio” (cioè la pericolosa invidia altrui che indurrebbe malattie e sciagure) è quella di utilizzare le dita per mimare qualche simbolo di grande potenza evocativa, una sorta di “pronto soccorso” in caso di pericolo immediato. Tutti noi oggi conosciamo le famose corna (che, sappiate, non vanno rivolte al Cielo, ma agli Inferi!) usate da tempo immemorabile per scacciare la sfortuna e per neutralizzare lo “sguardo maligno”. Non è chiaro se evochino la potenza sessuale del fallo, come i famosi cornetti napoletani, o si rifacciano addirittura alle corna della Vacca sacra (o Toro), totem della dea lunare di epoca preistorica, ma il loro uso è così radicato nella nostra psiche da essere utilizzato con totale inconsapevolezza da chiunque. Anche il gesto di incrociare le dita (medio e indice) per augurare buona fortuna agli amici è tanto diffuso da apparire addirittura fra le emoticon; anch’esso, come quasi tutti gli scongiuri, allude al mondo sessuale e alla forza generatrice che da sempre rappresenta l’archetipo vitale e positivo per eccellenza.
Ma il gesto apotropaico più antico di tutti, ricordato addirittura in dipinti e opere letterarie e diffuso in ogni parte del mondo, è la cosiddetta “manufica”, cioè il gesto di stringere il pollice tra l’indice e il medio, mimando il sesso femminile . Ricordo che da bambina i miei nonni, di fronte a insulti e dispetti altrui, ridacchiando mi dicevano in dialetto “Fàje fico!” e il gesto aveva l’effetto spettacolare di annullare l’offesa e rinviarla al mittente, con suo grande scorno. Aveva il fascino di un gestaccio miracolosamente ammesso anche per noi bambini e somigliava al gioco del “rialzo”: con quell’atto tutto era annullato e nessuno poteva “catturarti” o ferirti, ma possedeva in più un carattere quasi di insulto, analogo alla linguaccia. Non a caso in Germania la “manufica” era accompagnata proprio dalla linguaccia, ma il più delle volte veniva usato di nascosto, sorridendo di fronte a complimenti insinceri o pieni di invidia, mentre la mano “faceva fico” nella tasca. Amuleti con questa forma ancora si trovano sui banchetti di talismani, realizzati soprattutto in corallo rosso o bianco. In Sardegna si usava appenderlo sulla culla dei neonati, in Austria veniva cucito sotto gli abiti delle spose per scongiurarne la sterilità, nel XVIII secolo si usava realizzare tappi per le boccette dei profumi con questa forma, ma anche sedie, suppellettili e edifici sacri presentano la “manufica” come decorazione. La sua derivazione di gesto osceno protettivo contro il male è antichissima, infatti era già conosciuta dai Greci e dai Romani, come testimoniano varie pitture e come attesta la credenza romana che “fare fica (o fico)” con le dita, proteggesse dagli spettri .
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Molto chiari, grazie!