Noi italiani abbiamo una predilezione per i modi di dire che coinvolgono le estremità del corpo. Basti pensare a quante locuzioni curiose abbia prodotto la nostra lingua a proposito delle mani quasi sempre sinonimo di abilità: possiamo lottare “a mani nude”, ma anche avere “mani di fata” nell’eseguire lavori complessi e delicati; possiamo “avere per le mani” un buon affare o “avere le mani in pasta” in un’impresa, ma anche “avere una buona mano” a carte o aver lasciato i nostri figli “in mani sicure”.
Quando un amico è in difficoltà “gli tendiamo una mano”, gli diamo “man forte” o, semplicemente, gli “diamo una mano”.
Le mani alludono alle nostre capacità, però a volte l’estro manuale non è poi così auspicabile, come quando qualcuno ha la tentazione di “allungare le mani” sui nostri beni, ed essendo “di mano lesta”, ci lascia “con una mano davanti e l’altra dietro”. Di questi tempi pare sia una situazione diffusa e il primo istinto è quello di “metterci le mani nei capelli” dalla disperazione, in un antico gesto proprio delle prefiche, le donne addette al pianto durante gli antichi funerali. Subito dopo però “ci sentiamo prudere le mani” reazione non proprio composta e pacifica, vorremmo “menar le mani” o “mettere le mani addosso” al delinquente.
Spesso c’è chi tende a “far man bassa” senza rimorsi, ma se sapesse che la frase mani a basso era il segnale che nel passato dava il via al saccheggio delle città conquistate, forse “si metterebbe una mano sulla coscienza” . Senza contare che non è mai bello farsi trovare “con le mani nel sacco”.
Quando esageriamo “ci facciamo prendere la mano”, “calchiamo la mano” o abbiamo “la mano pesante”. Quando sprechiamo “abbiamo le mani bucate”. Quando ci fanno “la mano morta” gridiamo: “Giù le mani!”
Quando diamo confidenza ci giudicano come persone “alla mano”.
Se siamo capaci di fare tutto abbiamo “le mani d’oro”, se siamo fortunati dicono che la nostra è una “mano felice”, se siamo decisi possediamo “mano ferma”, se siamo severi abbiamo ”la mano pesante” e quando “ce ne laviamo le mani” non siamo puliti, ma ci disinteressiamo di qualcosa in cui non vogliamo essere coinvolti: il detto allude al gesto con il quale Ponzio Pilato declinò qualsiasi responsabilità nella condanna di Gesù, come raccontato nel Vangelo di Matteo.
Sempre dai Vangeli arriva la frase “toccare con mano” per intendere la verifica di qualcosa che ci lascia scettici, come accadde all’apostolo Tommaso con l’apparizione di Gesù risorto. Tommaso non era certo un tipo tanto fiducioso da “metterci la mano sul fuoco” , a differenza dello sciagurato guerriero romano Muzio Scevola, che la mano sul fuoco la mise di sua spontanea volontà per punirsi di un errore, ispirando però all’Inquisizione la balzana idea che la mano di un innocente posta su un braciere, con l’aiuto di Dio, sarebbe rimasta indenne!
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