Vai al contenuto
Home » Blog » A Carnevale ogni scherzo … valeva

A Carnevale ogni scherzo … valeva

Carnevale tradizionale in Valle D'Aosta, foto Elena Piccini 2000 ©Fototeca Gilardi

Ricordate i vecchi scherzi di Carnevale?
Quelle sciocche burle innocenti di una volta che ti mettevano un po’ in ridicolo (solo un po’, senza cattiveria), quelle che toccavano a tutti, nessuno escluso.
Un tempo a Carnevale, prima o poi capitava a chiunque di sedersi sullo stupido cuscino dei peti o, alla prima risata, ci si prendeva una manciata di coriandoli in bocca; nonostante il freddo qualche buontempone aveva l’idea di schizzarti con l’acqua (con la schiuma, col vino, con la birra … ma poco, ché a febbraio si gela!), o si veniva randellati con inoffensive clave di gomma, strombazzati improvvisamente da una soave e innocente mascherina, sbeffeggiati con fare scimmiesco, omaggiati di fiori puzzolenti o altre amenità del genere. Ho nostalgia di sciocchezze. Ho nostalgia di leggerezza, di umorismo.
Scarseggia di questi tempi e scorrendo alcune vecchie immagini carnevalesche del secolo scorso, mi ritrovo a sorridere pensando che una volta mio nonno, a Carnevale, “sedusse” più di un amico entrando nel bar del paese travestito da donna, per poi riderne per tutto il resto dell’anno. Fanno ancora queste cose gli adulti?
Un tempo ci si travestiva per ingannare, per incarnare un personaggio diverso.
Non si voleva essere riconosciuti. Non c’era l’esigenza di abbellirsi, anzi! Il piacere del travestimento era proprio nel diventare qualcun altro, più possibile diverso da noi, sperimentando un punto di vista differente, osservando le diverse reazioni degli amici di fronte a questo sconosciuto.
Ho l’impressione che tutto ciò oggi riesca male. Non abbiamo più il desiderio di cambiare prospettiva. Forse ne abbiamo addirittura paura.
Per fortuna, almeno nei carnevali tradizionali, rivivono le antiche funzioni catartiche del travestimento e si incontrano gruppi di “brutti” che combattono i “belli”, o che cercano di disgustare gli astanti con odori e rumori sgradevoli; vengono indossate antiche maschere che evocano immagini archetipiche inquietanti, non fatine e supereroi; nelle sfilate tradizionali le maschere sono dispettose, sferzano gli spettatori, cercano di spaventarli così come di farli ridere. I Carnevali tradizionali non constano solo nell’esibire l’arte sopraffina dei carri allegorici (l’unica che sembra destinata a sopravvivere allo scorrere del tempo), ma anche antichi balli di gruppo in cui si evocano combattimenti e conquiste, la cacciata degli invasori, o addirittura la vittoria del popolo (stanco dello ius primae noctis) contro il tiranno del paese.
In Valfloriana (Trentino) delle maschere molto colorate, i Matòci, precedono il corteo degli Arlecchini; giungono uno alla volta al paese, preannunciati dal tintinnare del campanaccio che portano in vita, e vengono fermati dagli abitanti che li sottopongono al contrèst, un comico contradditorio a tema erotico. Lo scopo è quello di scoprire l’identità della persona che si cela dietro la maschera. Ovviamente il matòcio dev’essere abbastanza abile a non farsi riconoscere, camuffando la voce e cercando di rispondere alle domande senza fornire indizi che lo possano identificare.
Tutto ciò è chiaramente possibile solo in luoghi in cui tutti si conoscono e dove dettagli così intimi sono “il segreto di Pulcinella”, ma senza arrivare a questi estremi sarebbe semplice recuperare la voglia di travestirsi con l’intento di non farsi riconoscere e spogliarsi una buona volta di questa identità che inizia ad essere un abito troppo pesante da portare ogni giorno.
Per un uomo, già mettersi dei collant e dei tacchi alti una volta all’anno, sarebbe il miglior deterrente al rischio di diventare sessista: indossare un reggiseno e passeggiare per la città con delle inverosimili tette gli farebbe sperimentare per un giorno cosa significa essere una donna. Stesso discorso ovviamente per le donne, poiché nessuno è al riparo dal pregiudizio.
Il Carnevale è la festa dell’inversione dei ruoli, così importante come valvola di sfogo della tensione sociale, ma anche grande e divertente lezione di vita in cui si apprende (divertendosi) che se sei nero o biancoColombina o Balanzone, bello o brutto, giovane o vecchio, ricco o povero il mondo ti vede diversamente, ma anche tu vedi diversamente il mondo. E ti viene voglia di ridere, non di fare la guerra.

© riproduzione riservata

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *