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L’aureo pomo delle Esperidi

il Giudizio di Paride o il pomo della discordia, elaborazoione ©Fototeca Gilardi

Uno degli alberi da frutto autunnali più antichi, sebbene quasi dimenticato, è il Cotogno il cui nome scientifico (Pirus Cydonia L. o Malus cydonia PL.) allude alla provenienza della mela cotogna da Cydonia (Candia) città dell’isola di Creta celebre per i suoi frutteti. Chiamato anche Malum aureum Hesperidium da Virgilio, appare nel mito come l’albero dai pomi d’oro del Giardino delle Esperidi. È Esiodo a narrare di bellissime ninfe figlie di Atlante, le Esperidi, custodi di un giardino incantato all’estremo occidente del mondo e dell’albero posto al centro del giardino, pieno di frutti color dell’oro. Per gli antichi Greci la cotogna è infatti chrisomelon” (mela d’oro). Le arance che spesso vengono identificate con questi “pomi dorati” in realtà giunsero ben più tardi nel Mediterraneo, mentre le cotogne erano ben conosciute dai Greci fin dal VII secolo a.C. e le vediamo raffigurate nei rilievi delle metope del Tempio di Zeus a Olimpia, in cui Atlante è fermato nell’atto di porgerle a Eracle.
Il mito narra infatti di come Eracle, costretto dal re Euristeo a un’undicesima fatica (quella appunto di rubare le mele delle Esperidi), si fosse introdotto nel giardino che la Madre Terra aveva donato alla figlia Era per le sue nozze e dove ogni giorno si fermava la corsa del carro del Sole. Qui il Titano Atlante reggeva sulle spalle il peso del cielo e aveva posto le tre figlie a guardia del sacro giardino. Quando le mele arrivarono a maturazione le Esperidi iniziarono a coglierle, ma Era, per timore di furti, ordinò al drago/serpente dalle cento teste Ladone, di arrotolarsi intorno al tronco per proteggerlo dai ladri. Consapevole dell’immane peso sulle spalle di Atlante Eracle sfruttò questa sua debolezza per indurre il Titano a cogliere i frutti offrendosi di reggere la volta celeste al suo posto, per il tempo necessario. Atlante stremato, accettò subito e andò a cogliere tre mele d’oro dal sacro albero, ma per nulla intenzionato a riprendere subito il suo posto disse ad Eracle che le avrebbe portate lui a re Euristeo, così da riposarsi per qualche mese. Eracle finse di accettare e con la scusa di sistemarsi meglio il peso del cielo sulle spalle, chiese ad Atlante di reggere il carico per un istante, per poi fuggire a gambe levate con il prezioso bottino.
La mela cotogna, frutto sacro ad Afrodite, appare nuovamente ai piedi di Paride ad opera della dea Eris, la Discordia, per essere consegnata “alla più bella” fra le dee. L’ingenuo Paride sappiamo bene a chi la diede e perché, e come finì la guerra di Troia nata dall’amore tra lui ed Elena, moglie di Menelao re di Sparta. Proprio a Sparta, racconta Ateneo, si offrivano agli dei certi pomi che “hanno un profumo soave ma che non sono molto buoni da mangiare”, le mele cotogne appunto. Secondo Plutarco era usanza che questi frutti venissero donati come pegno d’amore e le giovani spose erano tenute a mangiare una mela cotogna prima di congiungersi con il proprio sposo.
Non per niente nell’araldica la mela cotogna indica l’amore matrimoniale.
Tutti gli elementi del mito, che mescola amore, giardino, frutti d’oro sacri, serpente, furti e Venere tentatrice, li ritroviamo incredibilmente anche nell’Eden e nella leggenda che racconta come il “pomo d’Adamo” sia in realtà il boccone di mela cotogna andato di traverso al nostro progenitore biblico. D’altronde la cotogna cruda è realmente immangiabile.
Aspra, astringente, ricca di pectina, già per Ippocrate più che un frutto è un rimedio salutistico per liberare l’intestino, mentre nel Medioevo e nel Rinascimento oltre a essere considerata un potente antidoto ai veleni masticata cruda, viene prescritta anche come cataplasma per uso esterno.
Oggi è utilizzata essenzialmente come addensante per marmellate e gelatine (il termine “marmellata” viene dal nome portoghese della mela cotogna: marmelo) o per fare liquori, ma gli antichi romani erano soliti conservarla sotto miele. Ecco due semplicissime ricette per gustare un po’ di storia.

Ricetta dei “melomeli” dal “De re rustica” di Columella (I sec. d.C.)
A metà luna calante, con cielo sereno, ben pulite dalla loro lanugine, le cotogne vengono disposte in un vaso di terracotta a collo largo e coperte di miele molto liquido; si conservano a lungo e il miele, profumato dal loro contatto, diventa un medicamento contro la febbre.

Ricetta della Cotognata
Lavare, sbucciare le mele cotogne, togliere i semi e le parti legnose, tagliarle a pezzi non troppo piccoli. Mettere sul fuoco una pentola con dell’acqua: quando sarà a ebollizione, unire le mele a pezzi e farle cuocere finché non saranno tenere. Scolarle e lasciarle raffreddare.
Frullare le mele cotogne per ottenere una purea liscia e morbida, pesarla e metterla in una pentola insieme allo stesso peso di zucchero e al succo di un limone. Cuocere a fuoco basso mescolando, per almeno 30 minuti finché non si sarà addensata e scurita leggermente.
Una volta pronta, bagnare con acqua fredda gli stampini, riempirli con la cotognata e livellare la superficie. Poi lasciarli raffreddare. Possiamo anche stenderla in un’unica teglia, senza superare i due centimetri di altezza e, quando sarà raffreddata ( magari anche indurita per qualche giorno), tagliarla a cubetti e passarli nello zucchero semolato per ottenere vere “gelatine”.

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